Breve storia della crisi subprime e del criterio contabile che l’ha generata-parte 2

Di Michele Giudilli

Ogni fondo ha un tipo di mutuo particolare: vi sono cartolarizzazioni più rischiose, esempio quelle contenenti i mutui subprime, che pagano gli interessi più alti e cartolarizzazione meno rischiose fatte a tassi “prime” meno rischiose. Naturalmente il miracolo americano di dare una casa a tutti, e il circolo vizioso ha fatto si che aumentassero enormemente il peso dei mutui subprime sui portafogli di tali investitori, generando una massa di trilioni di dollari pari a 5-6, ovvero circa 5000-6000 miliardi di dollari: naturalmente non tutti sono subprime, ma anche i prestiti migliori hanno risentito comunque degli effetti letali di tali mutui. Insomma la mela marcia nel cesto che fa marcire tutte le altre. Forse in questo caso le mele buone erano davvero poche. Le stesse società Fannie Mae e Freddie mac, che hanno caratterizzato la cronaca finanziaria di settembre, sono società sponsorizzate da governo Usa e che adesso sono state totalmente nazionalizzate, hanno offerto il fianco al gioco della finanza ad alto rischio.

Queste due società sono state create negli anni 40 e 50 dal Governo Usa per aiutare gli americani nell’acquisto della casa, anche ai meno abbienti, e chiramente nella partita “subprime” hanno giocato un ruolo determinante in quanto erano grandi acquirenti di pacchetti di mutui subprime, che venivano ceduti dalle banche americane, e Fannie & Freddie a loro volta emettevano obbligazioni i cui rendimenti e le garanzie erano legate alla tenuta del mercato immobiliare e finanziario. In fondo era una sorta di garanzia federale essendo le due società, che controllano l’80% dei mutui americani, una sorte di ombrello di protezione federale.

Ma l’esplosione nell’estate del 2007 della bolla mutui ha finito per coinvolgere anche loro, travolgendoli nella tempesta che ha portato alla completa nazionalizzazione delle due società sponsorizzate dal governo.

 

Quindi in un scenario di distribuzione del rischio, in cui il rischio di detenere un portafoglio di crediti (mutui subprime) di dubbia certezza ma ad alto rendimento era distribuito in diversi soggetti, ha contagiando di fatto tutta la finanza globale. Magari anche una banca lontana chilometri da Wall Street si è riepita di questi titoli, fidandosi del buon “rating” degli istituti emittenti, ignari di cosa fossero fatti questi titoli.

Il problema in fondo è capire quando valgono quei titoli.

Compito dei mercati finanziari è quello di prezzare attività mobiliari: azioni, obbligazioni aziendali, titoli di stato, valute e materie prime attraverso un processo “teorico” ed efficiente che da un valore a tali beni in funzione delle informazioni disponibili. In realtà la pratica a volte è ben diversa dalla teoria ma ad ogni modo, il doppio effetto: deprezzamento dei beni immobiliari e l’aumento dei tassi di interesse.

Questa miscela esplosiva ha fatto venire meno il rapporto di garanzia ipotecaria dei mutui: su 100.000 dollari di prezzo pagato (spesso in piena bolla immobiliare) sono stati stipulati 100.000 $ di mutuo ipotecario (mortgage) a volte, miracolo americano, il valore dei mutui concessi superava anche il valore della casa, permettendo al possessore di avere ulteriore liquidità, che è l’essenza della vita degli americani caratterizzati da un tenore di vista che va avanti con debiti e carte di credito.

Solo che con la crisi immobiliare e la discesa dei prezzi il deprezzamento dell’immobile ipotecato ha fatto si che fosse inferiore il valore del bene dato in garanzia e quindi da una parte il valore dell’ipoteca, ipotizziamo 50.000 $ e dell’altro un mutuo invariato se non peggiorato a causa dell’aumento dei tassi di interesse.

Questo squilibrio ha fatto si che le obbligazioni subprime si sono trovati di botto a valere molto meno rispetto al loro valore di emissione: una obbligazione di 1000$ che dava diritto ad un interesse del 9% ad un certo punto valeva 500-600$, in quanto il mercato finanziario ha dovuto prezzare “correttamente” il rischio di detenere quel debito (che in fondo è un rischio per chi lo detiene). In realtà ci sono stati momenti durante quest’anno turbolento in cui tali obbligazioni non sono riuscite a far prezzo, in quanto nessuno aveva “informazioni” adeguate in grado di prezzare correttamente questi titoli, specie allo scoppiare della bolla subprime l’anno scorso.
A questo punto è doverosa una piccola parentesi.

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