Con il D. Lgs. 9 gennaio 2006 n. 5 il Governo ha attuato la delega contenuta nell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80 di “Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali”, riscrivendo una normativa che, dopo oltre sessant’anni di vita, appariva anacronistica e non più idonea a rispondere, con efficacia e immediatezza, alle esigenze dell’impresa e a quelle poste dall’economia di mercato, sempre più globalizzata.
Successivamente, in risposta alle richieste di modifica provenienti dalla dottrina e dagli operatori professionali, il Governo con il decreto legislativo “correttivo” del 12 settembre 2007 n. 169 ha dato attuazione alla delega contenuta nell’articolo 1, comma 5 bis, della legge n. 80 del 2005 – comma aggiunto dall’articolo 1 comma 3 della legge 2 luglio 2006 n. 5 - effettuando aggiustamenti tecnici e modifiche sostanziali, in alcuni casi rilevanti, ma sempre in coerenza con la filosofia che ha pervaso l’intera riforma, volta a “privatizzare” le procedure concorsuali.
Infatti, il decreto correttivo, in vigore dal 1 gennaio 2008, rappresenta l’ultima tappa di una staffetta il cui primo step si è avuto la scorsa primavera, con il decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge n. 80/2005, nell’ambito della disciplina per il rilancio della competitività, con il quale si è proceduto alla riscrittura del concordato preventivo, modificando gli artt. 160, 161, 163, 167, 180, 181, della revocatoria fallimentare e all’introduzione di due nuovi istituti, l’accordo di ristrutturazione dei debiti, disciplinato dall’art. 182 bis l.f., e il piano attestato di risanamento, previsto dall’art. 67 comma 3 lett. e) (G. Lo Cascio, Il nuovo concordato preventivo: uno sguardo d’assieme, in Il Fallimento, 2006, 999; Il nuovo concordato preventivo ed altri filoni giurisprudenziali, in nota a Trib. Milano 10 marzo 2006, decr.; Trib. Palermo 17 febbraio 2006, decr.; Trib.
Milano 29 dicembre 2005; Trib. Milano 12 dicembre 2005, decr.; Trib. Milano 20 ottobre 2005, decr.; Trib. Milano 30 settembre 2005, decr.; Trib. Milano 22 luglio 2005, decr., ibidem, 581; M. Giuliano, “Il nuovo concordato preventivo: si parte dallo “stato di crisi”, in Diritto e Pratica delle Società, n. 13 del 2005, Il Sole24ore, pagg. 22 ss.; e dello stesso autore Il nuovo concordato preventivo: i presupposti e le condizioni di accesso, Diritto e Giustizia quotidiano di informazione, www.dirittoegiustizia.it).
Tuttavia i venti della riforma della disciplina delle procedure concorsuali soffiavano sin dal 2002 quando il Governo istituiva la c.d. Commissione Ministeriale Trevisanato (dal nome dell’esperto chiamato a presiederla), con il compito di redigere un disegno di legge delega per la riforma organica della legge fallimentare. Contemporaneamente veniva varato un disegno di legge (AS1243 del
2002: d.l. “Caruso”) contenente una serie di integrazioni e modificazioni all’originaria legge fallimentare derivanti dalle numerose pronunce della Corte Costituzionale che si erano succedute nel tempo, e dalla giurisprudenza consolidata su alcuni specifici punti.
La “Commissione Trevisanato” concluse i lavori nel 2004 presentando al Governo due progetti di legge delega, uno votato dalla maggioranza dei componenti, l’altro da una minoranza di cui spiccano esponenti del mondo bancario.
La situazione di stallo provocata dalla predisposizione di due concorrenti disegni di legge portò il Governo a costituire una commissione ristretta alla quale fu conferito l’incarico di predisporre un terzo testo definitivo, e non più un disegno di legge, da sottoporre al Parlamento per la votazione. La Commissione ristretta elaborò una legge di riforma delle procedure concorsuali costituita da oltre 250 articoli, resa oggetto di pubblici dibattiti e congressi, ma che non fu mai presentata al Consiglio dei Ministri.
Alla fine del 2004, il Consiglio dei Ministri approvò un corposo emendamento, c.d. Maxiemendamento, al disegno di legge “Caruso” che languiva al Senato dal 2002.
Con i provvedimenti resisi urgenti per il rilancio della competitività delle imprese, il Governo approvò un complesso e articolato decreto legge immediatamente entrato in vigore, nell’ambito del quale venne introdotta una disposizione che apportava modifiche sostanziali all’azione revocatoria e all’istituto del concordato preventivo, e introduceva nuovi istituti volti alla composizione negoziale della crisi di impresa. La legge di conversione del decreto, legge n. 80 del 2005, confermò le disposizioni dettate dal D.L. 14 marzo 2005 n. 35 ed aggiunse la delega al Governo per la riforma organica della disciplina delle procedura concorsuali, dettando i relativi principi e criteri direttivi.
Il burrascoso ed incerto cammino della (e) riforma (e) della legge fallimentare prende slancio in conseguenza dei gravissimi dissesti finanziari Parmalat e Volare, che indussero il Governo a emanare d’urgenza i cosiddetti decreti “Marzano”, comunemente ribattezzati decreti “Parmalat – Volare”. Con tali decreti si è voluto salvaguardare i valori aziendali sottraendo alla liquidazione dell’Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in insolvenza, contenute nel D. Leg. 270/99, le imprese versanti in stato di decozione.
Ed è proprio dallo speciale concordato previsto dalla Legge Marzano che, prima il concordato preventivo e poi quello fallimentare, sembrano trarre spunto i progetti di legge predisposti dalla Commissione Trevisanato e in quelli successivi.
Gli elementi di assoluta novità, che troveranno accoglimento nelle due soluzioni concordatarie, sono principalmente la suddivisione dei creditori in classi; il trattamento differenziato fra creditori appartenenti a classi diverse; le modalità di soddisfazione dei creditori; la possibilità di sovvertire la disciplina dei privilegi, prevedendo il pagamento in percentuale dei creditori prelazionati.
Dunque in seguito alle tre leggi di riforma (e controriforma) succedutesi nell’arco di tre anni, il quadro d’insieme che si evince è quello di un sistema in cui l’impresa viene posta al centro dell’impianto normativo, dove lo scopo principale è quello di recuperare, attraverso soluzioni concordatarie, i valori aziendali, disincentivando la liquidazione dei singoli componenti della stessa, evidentemente
spuri di quel valore immateriale che solo l’azienda integra può generare e valorizzare, anche quando l’insolvenza è già esplosa e ha dato luogo all’apertura della procedura del fallimento.
Ci troviamo dunque di fronte ad una legge fallimentare che – come evidenziato dalla relazione illustrativa alla prima legge di riforma - considera “le procedure concorsuali non più in termini interamente liquidatori – sanzionatori, ma piuttosto come destinate a un risultato di conservazione dei mezzi organizzativi dell’impresa, assicurando la sopravvivenza, ove possibile, di questa e, negli altri casi, procurando alla collettività, e in primo luogo agli stessi creditori, una più consistente garanzia patrimoniale attraverso il risanamento e il trasferimento a terzi delle strutture aziendali”.
Nel perseguire i predetti obiettivi si è proceduto,quindi, verso la privatizzazione della crisi d’impresa favorendo, da un lato, il più possibile gli accordi tra i soggetti protagonisti della crisi, debitore e creditori, e dall’altro limitando il potere d’ingerenza del giudice delegato, (sottraendo spazi del diritto concorsuale alla giurisdizione) affidandogli poteri tipicamente giurisdizionali, di risoluzione di conflitti e di garanzie della legalità.
In tale contesto si è quindi deciso di affidare la gestione del fallimento al curatore, il quale, in costante contraddittorio con il comitato dei creditori, vero erede dei poteri del giudice delegato, cercherà di massimizzare la liquidazione dell’impresa. Potere che, come vedremo, è stato – con il decreto correttivo - traslato verso il comitato dei creditori, organo della procedura rappresentativo dei principali interessati all’esito della stessa.
Si è assistito dunque ad una distribuzione qualitativa dei poteri prima attribuita al giudice delegato, ora, non sempre razionalmente, affidati al comitato dei creditori e al curatore.
I compiti di amministrazione del patrimonio del debitore e di gestione della procedura affidati al giudice sotto la vigenza della precedente legge fallimentare erano giustificati dall’impronta pubblicistica e dirigistica caratterizzante tutte le procedure concorsuali.
Al comitato dei creditori – quale espressione collettiva dell’interesse comune al ceto creditorio – si è voluto affidare quelle maggiori competenze finalizzate ad un maggior coinvolgimento nella gestione della crisi d’impresa che, secondo un’attenta e qualificata dottrina, finirà tuttavia per condizionare l’andamento e l’esito del fallimento. Infatti, in aggiunta alle originarie funzioni consultive e di controllo del comitato, il decreto correttivo attribuisce poteri di autorizzazione per gli atti del curatore (Cfr. artt. 32, 35, 38, 41, 42, 72, 73, 81 e 104-ter l.fall.).
Vi è stato dunque un potenziamento di tale organo che, lungi da divenire strumento dei creditori forti a scapito dei piccoli creditori privati, dovrà invece essere canalizzato sotto il controllo del giudice, verso la massima soddisfazione di tutta la collettività di creditori coinvolti nella crisi aziendale.
Il risanamento e il recupero della crisi e/o insolvenza dell’impresa diventano dunque i due principali obiettivi che si è posto il nuovo regolamento delle procedure concorsuali, finalizzati alla rigenerazione di ricchezza e al salvataggio dei posti di lavoro, che lasceranno lo spazio alla liquidazione dell’azienda solo se concretamente inattuabili.
E’ in tale contesto si colloca il concordato fallimentare che da “modo di chiusura del tutto speciale e processualmente non naturale” (Roncoletta, Del concordato, in Codice del fallimento, a causa di P. Pajardi, quarta ed. p. 900) diventa strumento finalizzato all’ultimo tentativo di risanamento dell’azienda.
30 Maggio 2008
a cura di Avv. Massimo Giuliano - http://www.commercialistatelematico.it