3-Il nuovo concordato fallimentare

I SOGGETTI LEGITTIMATI, LA DOMANDA E IL CONTENUTO DEL CONCORDATO


La disciplina del concordato fallimentare in vigore dal 1 gennaio 2008 è il frutto di due fondamentali interventi legislativi: ad opera del D. Lgs 9 gennaio 2006 n. 5, con il quale si è proceduto ad una prima rivisitazione dell’istituto, attribuendo  a chiunque la legittimazione a formulare la proposta di concordato e, dunque, non solo al fallito; ampliando il possibile contenuto della domanda; anticipando   la   possibilità   di   presentare  l’istanza  sin  dalla  dichiarazione  di fallimento, salvo il caso in cui a proporla fosse stato lo stesso fallito, mentre prima bisognava aspettare l’esecutività dello stato passivo; prevedendo la possibilità  di  soddisfare  i  creditori  privilegiati  in  percentuale  del  loro credito;

sottraendo poteri all’autorità giudiziaria, lasciandole solo un compito di legittimità, di controllo della legalità; semplificando il giudizio di omologazione e, quello successivo ed eventuale, di impugnazione ed, infine, anticipando il momento a partire dal quale il concordato diviene efficace.   
Con il decreto correttivo il legislatore è nuovamente intervenuto, correggendo alcune criticità emerse nel corso dell’anno di applicazione dello stesso ed evidenziate dalla dottrina nel corso dei numerosi dibattiti tenutisi all’indomani della legge di riforma. 

Passando all’esame dell’articolato del rinnovato istituto del concordato fallimentare, costituito dagli articoli da 124 a 141, contenuti nel Capo VIII delle legge fallimentare,  si nota come molte delle principali novità introdotte dalle due riforme sono concentrate nell’articolo 124 l.f., che sin dal primo comma fa emergere tutta la filosofia della nuova impostazione dell’istituto.
Infatti, la Relazione illustrativa all’originario decreto legislativo individua tra le più importanti novità l’estensione della legittimazione alla proposta di concordato ad uno o più creditori o ad un terzo.
Prima del decreto correttivo, taluno aveva ipotizzato che terzo legittimato potesse essere anche il curatore, benché non previsto espressamente ma bensì ricavabile da un inciso contenuto nel secondo comma dell’articolo 129 che prevedeva la redazione e il deposito della relazione sulla proposta di concordato ad opera del comitato dei creditori qualora la proposta stessa fosse presentata dal curatore. Tale inciso è stato espunto dalla norma del decreto correttivo.

La norma, infatti, stabilisce che “la proposta di concordato può essere presentata da uno o più creditori o da un terzo, anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo, purché sia stata tenuta la contabilità ed i dati risultanti da essa (parte aggiunta dal decreto correttivo) e le altre notizie disponibili consentano al curatore di predisporre un elenco provvisorio dei creditori del fallito da sottoporre all'approvazione del giudice delegato”.

La possibilità per il terzo di presentare la domanda di concordato fallimentare comporta necessariamente un mutamento radicale della natura dell’istituto, il quale prima aveva come proprio fulcro la persona del fallito ed oggi ha come proprio scopo il risanamento dell’azienda: sicché, è stato affermato, che ben si comprende la ragione per la quale un tempo era quasi unanime la tesi che il debitore fosse l’unico legittimato attivo a proporre il concordato fallimentare. (G. Jachia, Del concordato fallimentare e della chiusura della procedura, in Il nuovo diritto della crisi di impresa e del fallimento, a cura di Fabrizio Di Marzio, Torino, 2006, 756).  
Tale facoltà, a dire il vero, era già prevista dall’art. 831 del cod. comm., che prevedeva la legittimazione di presentare la domanda di concordato anche al curatore, alla delegazione dei creditori ed a tanti creditori tali da rappresentare almeno un quarto del passivo. Anche il progetto di riforma della legge fallimentare redatto dalla commissione Pajardi prevedeva la possibilità che la proposta di concordato potesse essere presentata anche dal curatore, dai creditori e dai terzi.

Invece, sotto la vigenza del vecchio art. 124 l.f., nonostante la lettera della norma, vi era chi riteneva che anche un terzo potesse presentare domanda di concordato, anche senza l’accordo con il fallito, in quanto nel diritto civile è consentito al terzo di pagare il debito altrui ex art. 1180 codice civile, anche senza il consenso e persino contro la volontà del debitore, o di assumere il debito ex art. 1272 codice civile. (P. Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2002, p. 558; contra A. Bonsignori).

Va, tuttavia, evidenziato che tale possibilità non è stata prevista nella legge delega, cui comunque il decreto correttivo doveva attenersi, e dunque vi sarebbero dei dubbi circa la costituzionalità per eccesso di delega della norma nella parte in cui amplia i soggetti legittimati a presentare la domanda di concordato.
Solo dopo il decorso di un anno dalla dichiarazione di fallimento e purché non siano decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo, la proposta può essere presentata anche dal fallito, da società cui egli partecipi o da società sottoposte a comune controllo.

Tale termine è stato ampliato di sei mesi al fine di incentivare il fallito a presentare una domanda di concordato preventivo e di evitare che si ritardi la liquidazione concorsuale con proposte dilatorie e pretestuose.
Nel caso in cui sia una società a proporre il concordato, il novellato art. 152 l.f. stabilisce che la deliberazione deve essere adottata, se non è diversamente previsto dallo statuto, per le società di persone dai soci che rappresentano la maggioranza del capitale sociale, per le società di capitali dagli amministratori e la relativa deliberazione deve risultare da verbale redatto da notaio, diversamente da quanto stabilito dalla disciplina anteriore alla riforma, dove il potere di proposta era attribuito all’assemblea straordinaria, salvo delega agli amministratori.

Riguardo al contenuto della proposta,  il secondo comma dell’art. 124 l.f., in linea con quanto già previsto nel concordato preventivo, in aderenza al principio più volte richiamato della massimizzazione dell’autonomia privata, prevede che esso possa avere ad oggetto la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l'attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni o altri strumenti finanziari e titoli di debito. Con ciò aprendo il campo di azione agli operatori professionali.

La norma, inoltre consente  la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei e trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse, purché ciò avvenga nel rispetto di quei criteri di correttezza costituenti il parametro della valutazione rimessa al tribunale ai sensi dell’articolo 125 della legge fallimentare.
La posizione giuridica non può che riguardare i creditori privilegiati e all’ordine di graduazione degli stessi, distinguendoli, ad esempio, in creditori in prededuzione e privilegiati rispetto a quelli chirografari e postergati.

Gli interessi economici omogenei potrebbero interessare sia i creditori privilegiati che i creditori chirografari i quali, entrambi, possono avere interessi comuni, indipendentemente della natura (privilegiata o chirografaria) del loro credito. (G. M. Perugini, La collocazione ed il soddisfacimento dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in Fallimento on line).
“La suddivisione dei creditori dovrebbe avvenire per classi e gruppi. Le classi dovrebbero essere espressione dei creditori che abbiano una medesima posizione giuridica, come i lavoratori dipendenti che sono assistiti dal privilegio, oppure i creditori chirografari. Nell’ambito di questi ultimi dovrebbero, poi, essere distinti i gruppi dei creditori secondo il loro interesse economico omogeneo, come quelli finanziari, i fornitori, i creditori di rilevante dimensione o di dimensione più piccola, i creditori che vantino ingenti crediti e i creditori che abbiano crediti modesti, ecc”. (G. Lo Cascio, Il nuovo concordato preventivo ed altri filoni giurisprudenziali, in Il Fallimento, 581, 2006).

Altra importante novità di rilievo è rappresentata dalla possibilità di prevedere nella proposta il pagamento non integrale dei creditori muniti di diritto di prelazione, pegno ed ipoteca, sempre  che  il trattamento stabilito per ciascuna classe non alteri l'ordine delle cause legittime di prelazione, a patto che il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di vendita, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile al cespite o al credito oggetto della garanzia indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lett. d) designato dal tribunale.

Il decreto correttivo, in accoglimento anche di una specifica osservazione del Senato, ha disposto che il professionista designato dal tribunale fosse iscritto all’albo dei revisori contabili e che avesse anche i requisiti che l’art. 28, alle lett. a) e b), prescrive per i curatori, ovvero che fosse un avvocato, dottore commercialista o ragioniere, oppure fosse uno studio associato  o società tra professionisti i cui soci abbiano tali requisiti.  

Tale possibilità, ampliata con il decreto correttivo, consentendo il pagamento non integrale non solo dei creditori muniti di privilegio speciale, ma anche di quelli muniti di privilegio generale, sicuramente apprezzabile e conforme allo spirito della riforma, volto a valorizzare l’accordo delle parti, è tuttavia in evidente contrasto con la legge delega che autorizzava ad attribuire il diritto di voto al privilegiato solo quando  questi volontariamente avesse rinunciato al privilegio, sottraendo alle disponibilità delle parti, al di fuori dell’ipotesi predetta, la previsione di un pagamento non integrale del privilegiato.
La legge delegata e lo stesso decreto correttivo sembrano  aver agito fuori dalla delega e quindi a rischio di una pronuncia di illegittimità costituzionale per eccesso di delega. Infatti, l’articolo 1, comma 6, n. 12 della legge delega n. 80 del 2005 aveva disposto di: modificare la disciplina del concordato fallimentare, accelerando i tempi della procedura e prevedendo l'eventuale suddivisione dei creditori in classi che tengano conto della posizione giuridica e degli interessi omogenei delle varie categorie di creditori, nonchè trattamenti differenziati per i creditori appartenenti a classi diverse; disciplinare le modalità di voto per classi, prevedendo  che  non abbiano diritto di voto i creditori muniti di privilegio, pegno ed

ipoteca, a meno che dichiarino di rinunciare al privilegio; disciplinare le modalità di approvazione del concordato, modificando altresì la disciplina delle impugnazioni al fine di garantire una maggiore celerità dei relativi procedimenti. Nulla è stato previsto in ordine al pagamento in percentuale dei creditori privilegiati.

Questa nuova possibilità per il fallito di accordarsi anche con i privilegiati ha reso necessario intervenire sulla regolamentazione del diritto di voto prevedendo all’art. 127 l. f.  comma 4, che in caso di soddisfazione non integrale dei creditori privilegiati questi acquistino il diritto di votare la proposta in quanto vengono considerati chirografari per la parte residua del credito.
Il decreto correttivo ha definitivamente parificato le posizioni dei creditori a quella dei terzi, consentendo per entrambi la possibilità di prevedere nella proposta concordataria la cessione di azioni della massa e la  limitazione degli impegni  assunti  con  il concordato ai soli creditori ammessi al passivo, e a quelli
che hanno proposto opposizione allo stato passivo o domanda di ammissione tardiva.
Dottrina e giurisprudenza prevalente, sotto la previdente disciplina, in tema di concordato fallimentare con assuntore , già ritenevano che l'assuntore del concordato potesse rispondere solo limitatamente ai crediti ammessi al passivo, purché vi fosse una specifica clausola (Cass. 26 aprile 1983, n. 2850). Si riteneva che l'assuntore del concordato fallimentare, se la proposta di concordato omologata non avesse contenuto alcuna clausola specifica per quanto concerne i creditori non insinuati, sarebbe stato tenuto al pagamento della percentuale concordataria anche a favore dei creditori anteriori all'apertura del fallimento che non avessero presentato domanda di ammissione al passivo.
(Cass. 23 dicembre 1992 n. 13626, in Il fallimento, 1993, 708; Cass. 14 luglio 1965, n. 1491, in Giur. it., 1966, I, 1, 42; Dir. fall., 1965, II, 538 e 697 con nota di I. Schettini; Foro it., 1966, I, 122).

Si è anche sostenuto che è da ritenersi conveniente la proposta di concordato fallimentare che preveda la clausola di esclusione della responsabilità dell'assuntore verso i creditori non insinuati nel fallimento, solo a condizione che la cessione delle attività fallimentari all'assuntore sia soltanto parziale, di guisa che nel patrimonio dell'impresa fallita rimangano alcuni beni che possano costituire valida garanzia - ex art. 2740, Codice civile - per gli eventuali creditori non insinuati (Tribunale Roma 12 gennaio 1982, in Fallimento, 1983, 443; Fallimento e altre proced., 1983, 443).Per gli altri creditori continuerà a rispondere il fallito, fermo quanto disposto dagli articoli 142 e seguenti in caso di esdebitazione.

IL NUOVO CONCORDATO FALLIMENTARE ALLA LUCE DEL D. LGS. N. 169/2007

30 Maggio 2008

a cura di Avv. Massimo Giuliano - http://www.commercialistatelematico.it

  1. Premessa
  2. LA NATURA GIURIDICA DEL CONCORDATO FALLIMENTARE
  3. I SOGGETTI LEGITTIMATI, LA DOMANDA E IL CONTENUTO DEL CONCORDATO
  4. IL GIUDIZIO DI OMOLOGAZIONE E L’EFFICACIA DEL DECRETO - I POTERI DGLI ORGANI DELLA PROCEDURA -
  5. EFFETTI DEL CONCORDATO FALLIMENTARE
  6. ESECUZIONE, RISOLUZIONE E ANNULLAMENTO DEL CONCORDATO