Breve storia della crisi subprime e del criterio contabile che l’ha generata-parte 3

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Di Michele Giudilli

Questa crisi in realtà ha un colpevole invisibile e non umano, una semplice regola. Ci sono gli IAS = International Account Standards (Principi contabili internazionali) ovvero delle norme e criteri accettati internazionalmente su come redigere bilanci e documenti contabili.

Questo perchè ogni stato ha le sue norme e la globalizzazione richiede standard in modo che tutti - dal cinese al canadese - capiscano i conti di un’azienda di un altro paese. Gli IAS detti anche IFRS sono 41 in tutto.

Quello che è in realtà il responsabile di questa vicenda è il numero 36, che dice: le attività devono essere iscritte in bilancio al loro valore attuale o con l’inglese fair value, giusto valore. Le attività di bilancio devono essere contabilizzate al valore che hanno in un dato momento, ovvero quando si chiude un bilancio o nelle note trimestrali, e non per esempio al costo storico come invece era prassi fino al 2003, anno in cui sono stati adottati gli IAS.

Che significa? Se compro un terreno oggi e lo pago 100.000 euro e l’anno dopo ne vale 150.000 € sul bilancio devo scrivere quest’ultima cifra e non quanto l’ho pagato.

Va bene quando il mercato tira e le poste quindi incrementano il valore, ma le cose si mettono male se quel bene ha perso valore.

Sono costretto a fare, per rispettare gli IAS e norme contabili imposti dagli stati, un write-off, ovvero a cancellare dal bilancio parte del valore con cui l’avevo iscritto. Ebbene sembrerà strano ma questa semplice norma e prassi contabile ha creato il big bang finanziario di oggi. Solo che non è stata un’esplosione tanto creativa.

Ora gli asset finanziari come obbligazioni e azioni sono quelle che sono molto sensibili a questa norma, a causa dal fatto che continuamente viene fatto prezzo su questi beni.

A differenza dei beni immobili che hanno prezzo meno trasparenti (non esiste una borsa pubblica delle case), le transazioni sono meno frequenti e i beni non sono omogenei: una casa è diversa dall’altra. In fondo è lo stesso criterio che subisce l’investitore che compra titoli in borsa: li compra a 1000 € e domani valgono 800 o 1200. Bene finchè sono soldi propri non ci sono problemi, ma se ho usato soldi non miei per comprare beni finanziari, la diminuizione di valore di tali beni mi comporta uno sbilanciamento con i miei creditori di ordine patrimoniale.

Ho un debito di 990 € su una cosa che magari oggi vale 800 o 500.

E’ successo che quindi molta di queste obbligazioni, acquistate a debito da parte di banche, istituzioni finanziarie, hedge fund hanno perso valore con l’esplosione subprime, indebolendo così i bilanci di molte società finanziarie, caratterizzata dall’alta leva finanziaria: ovvero per 1000 euro di attività ne avevano 980 di debiti. Se all’inizio le varie istituzioni finanziarie hanno potuto far fronte alle perdite di valore di bilancio facendo ricorso al proprio capitale (accumulato in diversi anni di guadagni o con i soldi degli azionisti) successivamente, come Lehman Brothers hanno dovuto portare i libri in tribunale e dire addio ad una storia gloriosa di 158 anni, in quanto il valore delle passività era maggiore del valore delle attività. Se nel 2007 Lehman aveva un capitale proprio di 22 miliardi di $ (dopo aver fatto write-off di 45 miliardi di dollari - circa 668 miliardi di debito a fronte di 691 miliardi di attività: è facile capire che basta un deprezzamento dell’attività del 5% per bruciare il capitale della banca e stare sotto di 10 miliardi ancora. E’ andata meglio a BearStears che è stata aiutata dal governo ed è stata acquisita da JPMorgan. Ma molte banche ci hanno rimesso le piume. 
Questo insomma è il meccanismo che ha fatto in modo che tante banche in Usa e in Europa fallissero o avessero seri problemi, innescando tra l’altro un meccanismo di sfiducia reciproca, in cui le banche sono restie a prestarsi soldi fra di loro, in quanto nessuno sa quanto è solido l’altro o quanta “spazzatura” vi sia nei bilanci. Situazioni impensabili fino a qualche anno fa. Sono le conseguenze di un eccessivo ricorso al debito, che si basava sull’assunzione che il mercato sarebbe stato “virtuoso” per sempre, mentre è diventato visioso. Mi ricorda un po’ quelle catene che girano su internet, basate sullo schema Ponzi, dove alla fine manca l’ultimo che riceve il cerino e tutto salta. Naturalmente senza che vi è nel nostro caso un intenzione fraudolenta. Ma solo un illusione finanziaria collettiva o di parte dell’industria finanziaria stessa.
Quindi in realtà non banche che falliscono perché non hanno una lira in cassa, o perché – come succedeva nel film Mary Poppins – i risparmiatori preoccupati prosciugavano i depositi mandando la banca in default, ma perché le poste attive di bilancio hanno perso valore e di conseguenza la banca diventa tecnicamente fallita.

Ho letto recentemente che Bill Gross, che è il capo di Pimco, uno dei più grandi gestore di fondi già nel 2005 aveva detto a Paulson, segretario del Tesoro americano, quanto sarebbero stati letali le norme contabili “fair value” per il mercato finanziario alla prese con l’erogare mutui immobiliari a go-go. Suggerì di congelare le famigerate norme contabili per qualche anno, ma come spesso accade in materia economica, la politica si è mostrata più saccente di chi ne sa veramente qualcosa. Quindi se fosse successo nel 2003 tutto questo in realtà non sarebbe accaduto. Le ipoteche sarebbero state registrate e mantenute a bilanci a costo storico e non ci sarebbe stato nessun deprezzamento nei bilanci delle finanziarie, se non quello fisiologico legato all’aumentare dell’insolvenza di alcune categorie di soggetti subprime.

Ma insomma una tempesta, un temporale, non un diluvio come quello di questi giorni.

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