Sentenza Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 26 novembre 2014 – 4 giugno 2015, n. 11587

b) con il principio, richiamato anche dalla Corte nissena, secondo cui: “Il credito dell’avvocato per onorari professionali è credito di valuta e non di valore, avendo ad oggetto una somma di denaro. Ne consegue che la sopravvenuta svalutazione monetaria non consente una rivalutazione d’ufficio di esso, occorrendo una domanda del creditore di riconoscimento del maggior danno nei limiti previsti dall’art. 1224, secondo comma, cod. civ. ed il soddisfacimento del relativo onere probatorio, ed essendo applicabile l’art. 429 cod. proc. civ., come modificato dalla legge n. 533/1973, solo quando l’opera dell’avvocato si configuri come attività continuativa e coordinata tipica dei cosiddetti rapporti di “parasubordinazione”. Epperò come ha chiarito la Corte nissena, nella fase di appello, l’avv. G. non ha svolto alcuna attività al fine di assolvere l’onere della prova conseguente alla sua domanda di rivalutazione monetaria.
In definitiva, Si propone il rigetto del ricorso”.
Tale relazione veniva comunicata ai difensori delle parti costituite. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cpc.
Il Collegio, letta la memoria del ricorrente, condivide argomenti e proposte contenute nella relazione ex art. 380 bis cpc, rilevando, altresì, che le osservazioni espresse dal ricorrente con la memoria depositata in prossimità della camera di consiglio non consentono di superare le argomentazioni di cui alla relazione.
In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio che verranno liquidate con il dispositivo.
Il Collegio, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 da atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto peri il ricorso principale a norma del comma i-bis dello stesso art. 13.