Caro-mutui, a rischio una famiglia su due

La crisi dei mutui non riguarda solo l’America: anche in Italia aumentano le famiglie in difficoltà perché non riescono a sostenere gli aumenti delle rate e rischiano di perdere la casa, pignorata e messa all’asta dalla banca creditrice. A lanciare l’allarme è l’Adusbef, l’associazione in difesa degli utenti bancari e finanziari, che stima per il 2007 una crescita media del 19% di pignoramenti ed esecuzioni immobiliari: su 3,5 milioni di famiglie che hanno contratto un mutuo, più della metà, ossia 1,8 milioni, sarebbero a rischio insolvenza. E nelle metropoli è anche peggio: solo a Milano pignoramenti ed esecuzioni dovrebbero salire quest’anno del 22%, a Roma poco meno, il 21 per cento. Ma le richieste, secondo un monitoraggio effettuato dall’associazione nei tribunali di alcune città, sono in crescita in tutta Italia: Monza (25%), Mantova (18%), Rovigo (19%), Venezia (16%), Macerata (27%) e Pinerolo (15%).

Una preoccupante escalation in cui, secondo l’Adusbef, le banche hanno responsabilità ben precise. «Mentre negli altri Paesi europei - afferma l’associazione guidata da Elio Lannutti - con banche più portate a offrire buona consulenza, il 50% dei mutui sono stati erogati a tasso fisso, in Italia questa tipologia riguarda solo il 9 per cento. Questo significa che milioni di famiglie sono state vincolate a pesanti prestiti di lungo periodo che, con il rincaro del costo del denaro (prevedibile dal momento che nel 2004 i tassi di interesse erano ai minimi storici e tutti gli indicatori stimavano un loro aumento), nel giro di pochi anni sono divenuti insostenibili, anche per la rapidità delle banche italiane nel trasferire le decisioni di politica monetaria, a ogni ritocco del costo del denaro».

L’Abi, l’associazione delle banche italiane, ribatte: «Quelle diffuse dall’Adusbef sono cifre per noi ignote, che non hanno alcuna relazione con i tassi di interesse sui mutui». E fonti bancarie rimandano a una recente indagine del centro studi Abi secondo cui il livello di rate non pagate è al massimo dell’1% in più rispetto a un anno fa.


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